Il signore degli anellini
Chi si ricorda "No logo"?
Una delle notizie che in questi giorni ha fatto il giro delle mamme è che gli anelli di silicone, non quelli originali marchiati dalla ditta americana bensì le bieche imitazioni cinesi, sono altamente tossici se non cancerogeni. E via tutti a proibire i malefici anellini e a gettarli nei rifiuti (ma come si fa lo smaltimento rifiuti tossici?). Devo dire che tutto questo zelo e apprensione genitoriale mi fa sorridere (per non piangere).
Quasi tutte le multinazionali dell’abbigliamento hanno fatto o fanno tutt’ora uso di sostanze tossiche nella colorazione e fabbricazione dei loro capi. Tant’è che un paio di anni fa è stata pubblicata un’indagine di Greenpeace a questo proposito.
Peccato che non abbia visto in quel caso le zelanti mamme stracciare le vesti dei loro figli e le proprie e gettarle nei rifiuti (tossici?). Le cineserie a basso prezzo vanno ripudiate, i costosi capi di abbigliamento, sempre in Cina fabbricati, no.
E a questo aggiungo un’altra ancora più triste osservazione. Ci preoccupiamo della salute dei nostri figli mettendo all’indice alcuni prodotti se si dimostra che sono nocivi ma non ci preoccupiamo minimamente di come e chi li produca, tantomeno se nocivi non sono. Che le nostre scarpette da ginnastica di marca o i maglioncini all’ultima moda siano prodotti con lo sfruttamento di massa non ci riguarda, basta che non facciano male a noi. L’ipocrisia dietro a queste campagne demonizzatrici di alcuni manufatti ci fa sorvolare sul fatto che quotidianamente i nostri vestiti, le nostre apparecchiature elettroniche siano create e assemblate in luoghi dove i lavoratori sono spesso poco meno che schiavi. Un libro come “No logo” di Naomi Klein è ancora incredibilmente attuale e andrebbe letto da quanti in questi giorni hanno cestinato gli anellini e non sanno quanto veleno hanno attorno e quante vite sono costate i nostri più o meno costosi gadget quotidiani.
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