Involuzione industriale
Job act e nuovi poveri
Job act, perché poi non chiamarlo decreto lavoro… Forse che detto in inglese sembra una cosa più seria, più meditata?
Partiamo dal presupposto che la precarietà e la flessibilità prodotte dalle ultime leggi sul lavoro sono le concause della crisi economica italiana. Aver svalutato il lavoro dipendente e aver dato la possibilità ai datori di lavoro di assumere con forme di contratto fittizie e sottopagate i giovani è stata la prima picconata al sistema. Dare la possibilità di licenziare a piacere anche senza giusta causa è la seconda. I signori del governo fanno presto a dire: lavorare meno, lavorare tutti, ovviamente con stipendi ribassati, oppure quando c’è il lavoro si assume, quando non c’è si licenzia. Il problema del lavoratore comune che non gode di stipendi faraonici, come i politici legiferanti, è che invece vorrebbe mangiare tutti i giorni. L’affitto o il mutuo, le bollette, le spese per i figli che vanno a scuola ormai gravano in modo quasi insostenibile sulle famiglie italiane. La risposta geniale del governo è quella di favorire l’uscita dal lavoro. Quindi licenziamo i cinquantenni che sono gravosi da mantenere per l’azienda e assumiamo giovani che dopo qualche anno possiamo licenziare senza tanti problemi. Il fenomeno che era già iniziato con le sopracitate leggi ora è destinato ad aumentare. I padri resteranno a casa e i figli andranno al lavoro con lo stipendio però dimezzato. Prospettiva fantastica! Quello che si continua a non capire nelle alte sfere è che l’Italia non può essere competitiva con le potenze economiche emergenti tagliando i salari dei lavoratori perché qui il tenore di vita è diverso, almeno per il momento. Il paese deve competere fornendo servizi avanzati, puntando sulle nuove tecnologie, su una istruzione degna di questo nome. Deve fare cultura trasformandola in un business che non sia solo stampella di appoggio per il turismo. Se invece vogliamo produrre auto o elettrodomestici al costo cinese il nostro futuro lo vedo grigio. Quella che si presenta alle porte si potrebbe ironicamente chiamare l’Involuzione industriale del XXI secolo.
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